martedì 8 dicembre 2009

Chiedo asilo, quello vero

Paolo Sarti
Corriere della Sera, 8 dicembre 2009 - Cronaca di Firenze

Quando nel 1974 l’O.M.N.I (Opera Nazionale Maternità e Infanzia) chiuse i battenti, i Comuni italiani si trovarono a gestire una complessa e ingombrante eredità, fatta di consultori materni, corsi di preparazione al parto e asili nido.

Quegli asili erano stati costruiti nelle aziende, vicino o dentro alle fabbriche o a fianco degli uffici, con il preciso scopo di “assistere” e accudire i bambini delle donne lavoratrici a tutela del loro posto di lavoro (naturalmente la tutela era anche per il datore di lavoro: o lasciavi il figlio al nido o lasciavi il lavoro!).

Un’assistenza fatta soprattutto (e spesso unicamente) di accudimento igienico, di attenzione alimentare, di protezione fisica. I bambini vivevano spazi e tempi su abitudini stereotipate e ineluttabili: il momento del vasino significava che “si doveva” fare pipì o popò insieme e a quell’ora lì: ed esistevano le fasciature per ancorare i bambini recalcitranti ai vasini.

All’ora della pappa si mettevano tutti i bambini sul seggiolone in fila per poter passare col cucchiaio e riempire le bocche. Ma era forse un personale cattivo, inacidito?! Assolutamente no, perché al personale di un nido aziendale veniva chiesto di riconsegnare il figlio alla madre rassicurandola che aveva mangiato tutto, aveva dormito… e non si era fatto male (questo era meno facile garantirlo perché una tata poteva avere anche venti bambini di età diverse e oltre tutto in spazi inadeguati e poco protetti).

Grazie ad assessori illuminati, nei nidi di Firenze si cominciò a far entrare la pedagogia: sempre meno visite mediche e più attenzione alla complessità dei bisogni dei bambini. Non fu facile far capire al personale, che per anni aveva lavorato tenendo ferme le mani del bambino mentre lo imboccava a forza, che nutrirsi era anche esplorare il cibo, magari spargendoselo un po’ sul viso: non era spreco, era crescita.

Questa premessa “storica” per ricordare che l’evoluzione dai vecchi nidi aziendali è stato un percorso complesso, e solo grazie ad un lungo lavoro è stato possibile trasformare strutture di puro posteggio in luoghi dove i bambini possono esprimere tutte le loro potenzialità.

E sono state proprio la psicologia, la pedagogia, l’attenzione ai bisogni di crescita del bambino che hanno profondamente innovato i nidi, dai primi anni ottanta in poi. Per dar più forza al cambiamento si decise anche di eliminare il termine “asili nido” per parlare più correttamente di “nidi”, spazzando via, anche dal termine, quanto di assistenziale potesse rimanere.

Da allora grandi passi in avanti. Certo non son tutte rose e fiori, e ancora ci sarebbe da fare. Ma oggi allarma soprattutto la sensazione che chi si occupa dei nidi abbia come “perso la memoria”.

Sono i nuovi progetti di asili condominiali e aziendali che spaventano, e ancora di più gli accreditamenti di strutture private: soluzioni “a metà”, prive di garanzie di competenza e di qualità.

Così si prefigurano nuove strutture capaci di offrire solo occasioni di posteggio e mi riferisco ai nidi aziendali, che non garantiscono né collegamenti con il territorio né aperture culturali. Il nido, proprio per la sua funzione propedeutica, non può fare a meno di partecipare, con iniziative e stimoli culturali, al quartiere nel quale si pone.

Poi c'è il nido condominiale, senza nessuna garanzia di competenza pedagogica/educativa, e infine i voucher da spendere nel privato per la famiglia che non trova posto nel pubblico.

Il concetto è che il servizio pubblico non è in grado di aprire nuovi spazi e quindi passa la palla al privato: così ammette i propri limiti e “risarcisce” i genitori, con i soldi pubblici, per la sua incapacità.

La direzione inesorabile è quella di nuovi baby-parking.
Persa ogni attenzione all’infanzia, perso ogni senso sociale e politico del luogo “pubblico” di formazione degli individui (vedi scuola), perso un pezzetto di valore dell’infanzia, vista più come ostacolo alla produzione che non come strumento di investimento sul futuro.

Ma, in certi ambiti, persa anche una certezza di tutela fisica per i bambini: episodi come quelli di Pistoia, con maltrattamenti in un nido privato, probabilmente si sarebbero potuti evitati se l’esistenza di un sistema di formazione e aggiornamento del personale fosse stato requisito inderogabile (come nel pubblico) alla possibilità di aprire e gestire questi spazi.

Paolo Sarti, pediatra - Firenze
sarti.paolo@tin.it

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